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Le celebrazioni al via l'11 aprile. La biografia del Generale

Nel 2015 si ricordano i 150 anni della morte del Generale Manfredo Fanti. Il Comune di Carpi ha promosso una serie di manifestazioni commemorative, che prenderanno il via sabato 11 aprile. Il tutto grazie alla collaborazione dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano-Comitato di Modena, dell’Istituto nazionale Guardia d’Onore delle Reali Tombe del Pantheon, dell’Associazione Nazionale Insigniti Onoreficenze Cavalleresche, delegazione di Modena e Carpi, dell’Associazione Mazziniana Italiana-delegazione di Modena, dell’Associazione Nazionale Volontari e Reduci Garibaldini, delegazione regionale Emilia Romagna e con il sostegno dell’Accademia Militare di Modena, della Fondazione CR Carpi, di S.Rocco Arte e Cultura srl. Sabato 11 aprile dunque la giornata celebrativa di questo importante anniversario si aprirà con un convegno all’Auditorium S.Rocco al quale parteciperanno dalle ore 9 valenti storici come Giorgio Montecchi (Università Statale di Milano), Ciro Romano (Università Federico II di Napoli) e Michele D’Andrea. Al termine di questo appuntamento i partecipanti si trasferiranno al Parco delle Rimembranze: sarà il gruppo storico risorgimentale Battaglione Estense di S.Possidonio che aprirà il corteo. Alle ore 11.30 verrà deposta una corona commemorativa sul Monumento equestre in bronzo dedicato dalla città al Generale Fanti, alla presenza del Sindaco Alberto Bellelli e del Generale di Divisione Salvatore Camporeale, Comandante dell’Accademia Militare di Modena. Gli onori militari saranno resi da un picchetto di Allievi ufficiali dell’Accademia. Da qualche settimana tra l’altro la posta in partenza dal Comune vede fare bella mostra di sè a lato dell’affrancatura un timbro con la figura stilizzata del Monumento equestre che la città ha dedicato nel 1903 al Generale Fanti e che si trova dal 1939 nel Parco prospiciente al viale che ha preso il nome da questo concittadino illustre. Una iniziativa voluta dall’ente locale proprio in occasione delle celebrazioni del 150esimo della morte di Fanti e che si concluderà solo alla fine del 2015.  Manfredo Fanti, una biografia Il generale Manfredo Fanti, nato a Carpi il 23 febbraio 1806 e morto a Firenze il 5 aprile 1865, operò, sul piano militare e su quello politico, per la libertà e l’indipendenza italiana. Nel 1830 si laureò in matematica e ingegneria presso la Scuola dei cadetti pionieri di Modena. Di sentimenti liberali, fu tra i compagni di Ciro Menotti la notte del 3 febbraio 1831. Arrestato e liberato dagli insorti, dopo la sconfitta definitiva riparò in Francia, dove partecipò come ufficiale del genio alla fortificazione di Lione e perfezionò la sua formazione nell’ingegneria militare e nella strategia di guerra. Aderì agli ideali della Giovine Italia di Mazzini e nel 1835 raggiunse la Spagna per combattere per il regime costituzionale della reggente Maria Cristina di Borbone contro il pretendente al trono don Carlo di Borbone sostenitore dell’assolutismo. Per i meriti acquisiti entrò nel corpo dei Cacciatori di Oporto dove militavano anche i modenesi Enrico Cialdini, Domenico Cucchiari e Nicola Fabrizi. Nel 1838 passò nell’esercito regolare e con una rapida carriera divenne nel 1847 colonnello di cavalleria. In Spagna si convinse della necessità di puntare all’indipendenza e all’unità d’Italia senza velleitarismi e improvvisazioni ma in modo progressivo e con ordine, superando fazioni e divisioni. Nell’estate del 1848 Giuseppe Mazzini chiamò alla difesa di Milano Manfredo Fanti, che dopo aver preso congedo dall’esercito spagnolo, giunse in città poco prima dell’armistizio del 9 agosto 1848. Svolto egregiamente l’incarico di riordinare le truppe volontarie lombarde, entrò nell’esercito regolare piemontese. Alla ripresa della guerra contro l’Austria nel 1849, ottenne il comando di una divisione e alla vigilia della battaglia di Novara (24 marzo 1849) si diresse verso Alessandria ritenuta in pericolo. Accusato di fuga, fu poi discolpato dal Consiglio di guerra e dalla storiografia, nonostante le critiche di suoi contemporanei. Nella guerra di Crimea quale comandante di Brigata ebbe modo di far eccellere il proprio valore militare guadagnando la fiducia dei comandi militari, di Cavour e del re. Nel 1859 ottenne il comando della seconda divisione piemontese che il 30 maggio contribuì efficacemente alla conquista di Palestro e in seguito all’intera campagna militare. Dopo l’armistizio di Villafranca, 11 luglio 1859, Alfonso La Marmora fu nominato primo ministro e Manfredo Fanti divenne comandante in capo dell’esercito. Poche settimane più tardi Luigi Carlo Farini, Bettino Ricasoli e Leonetto Cipriani lo chiamarono per organizzare l’esercito della Lega che si era formata in Italia centrale tra Toscana, Romagna, Bologna e Modena, per difenderla dall’Austria sull’altra sponda del Po. Manfredo Fanti intraprese una vasta opera di reclutamento, di ordinamento e di addestramento di un esercito che raggiunse le 50 mila unità, mentre per gli ufficiali dispose la fondazione a Modena di una scuola militare, il nucleo della futura Accademia Militare. Aveva come vicecomandante Giuseppe Garibaldi che non mirava come lui alla nascita di un esercito regolare sul modello e con lo spirito di quello piemontese in vista di una futura unificazione, ma puntava a raccogliere forze per l’azione verso lo stato pontificio. Manfredo Fanti con l’appoggio di Luigi Carlo Farini e dei piemontesi ebbe la meglio e Giuseppe Garibaldi si vide costretto a rassegnare le dimissioni. Il 21 gennaio 1860 Cavour, d’accordo col re, designò Fanti Ministro della guerra: egli mantenne però anche il comando dell’esercito della Lega. Affrontò così la difficile impresa dell’unione dell’esercito della Lega con quello Sardo, che insieme contavano quasi 200 mila uomini in armi. Dopo la spedizione di Garibaldi in Sicilia, fu compito di Manfredo Fanti quale Ministro e capo dell’esercito, far varcare a quest’ultimo i confini dello Stato pontificio, occupare le Marche e l’Umbria e puntare verso Napoli, mentre Garibaldi risaliva l’Italia meridionale. Dopo l’unione delle province meridionali affrontò con energia il duplice compito di unire all’esercito italiano i soldati provenienti sia dall’esercito borbonico sconfitto sia dall’esercito meridionale che aveva combattuto con Garibaldi da Marsala fino al Volturno. Manfredo Fanti era convinto che uno stato sovrano non potesse tenere in armi milizie che non dipendessero interamente dalle autorità costituite e non avessero come unico ed esclusivo punto di riferimento il governo costituzionale. I volontari, per quanto fedeli a un alto ideale di libertà e di fratellanza, dovevano essere inquadrati all’interno della compagine istituzionale dello stato, cioè nell’esercito nazionale. Senza trovare opposizioni stabilì che potessero essere ammessi nell’esercito italiano solo i soldati borbonici delle classi di leva più giovani, mentre gli ufficiali avrebbero dovuto sottostare all’esame di una commissione formata da ufficiali piemontesi e borbonici. Maggiori difficoltà incontrò invece nel far approvare al Parlamento le rigide modalità stabilite per accogliere nell’esercito regolare i volontari garibaldini dell’esercito meridionale, soppresso nel novembre del 1860. Pochissimi volontari furono ammessi tra i soldati, e non molto alta, meno di un quarto, fu la percentuale di ufficiali garibaldini che passò nell’esercito italiano. Fanti riuscì a superare, con l’appoggio di Cavour, sia la forte opposizione di Garibaldi che voleva trasformare l’esercito militare in una sorta di guardia nazionale in armi, sia l’opposizione di Alfonso La Marmora che non gradiva la nuova struttura organizzativa dell’esercito italiano, troppo difforme da quella precedente dell’esercito sardo. Con la morte improvvisa di Cavour nel giugno del 1861 venne meno il suo più valido sostenitore e il Ministero della guerra fu affidato a quel punto non più a lui ma al generale Alessandro Della Rovere. Manfredo Fanti continuò in Parlamento a sostenere l’attuazione della sua riforma dell’esercito ma i primi segni della malattia lo allontanarono sempre più dalla vita politica, fin alla morte che lo colse a Firenze il 5 aprile 1865. Con solenni celebrazioni le spoglie mortali furono trasportate a Carpi e sepolte nel Duomo della città. Un comitato di cittadini gli fece erigere una statua equestre ora collocato nel parco delle Rimembranze in capo al corso a lui intitolato.

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